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La manomissione delle parole

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Saggio sul libro La manomissione delle parole 

di Gianrico Carofiglio

Gianrico Carofiglio, magistrato e uomo politicamente impegnato, ha rivelato doti di scrittore, soprattutto di romanzi gialli, in special modo quelli dell’avvocato Guido Guerrieri e del maresciallo Pietro Fenoglio. Nell’ottobre 2011 è stato finalista al Premio Strega con il romanzo “Il silenzio dell’onda”; nel 2012 scrive il saggio “La manomissione delle parole”.
Il saggio è nato per caso, in quanto l’autore nel precedente romanzo dal titolo “Ragionevoli dubbi” aveva citato tale opera attraverso Ottavio, uno dei protagonisti del romanzo, proprietario della libreria “L’osteria del caffellatte”.
Questo libro, che di fatto non esisteva, ha indotto lo scrittore a scriverlo e a spiegarne il titolo “La manomissione delle parole”. Come si può evincere da una sequenza delle prime pagine del saggio, l’autore chiarisce: “Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.”1
Il termine “manomissione”quindi può avere diverse interpretazioni in base al suo utilizzo: può essere sinonimo di “alterazione, violazione, danneggiamento” oppure assumere una valenza diversa quando è manipolata da un regime politico per creare consenso.
Dunque l’uso delle parole è fondamentale nella creazione della realtà. Lo scrittore per questo motivo, cita Rosa Luxemburg la quale affermava che “chiamare le cose con il loro nome è un atto rivoluzionario” e pertanto bisogna conoscere e usare le parole per comprendere la situazione comunicativa.
Ed è pertinente anche la citazione del saggio di Orwell del 1946 “La politica e la lingua inglese”, in cui l’autore si ribellava all’uso di un linguaggio vuoto, fatto di metafore e similitudini vuote.
Per lui, infatti, la lotta contro l’inglese moderno era un primo e necessario passo verso il rinnovamento della politica.
Nel romanzo “1984”, Orwell dimostra questo processo “patologico” di un nuovo linguaggio che si converte all’ideologia dominante con l’eliminazione di parole chiave del lessico politico e civile.
Il regime di Oceania, luogo inventato dallo scrittore britannico, crea un nuovo linguaggio eliminando alcune parole per rendere impossibile ogni altra forma di pensiero, riducendo al minimo il lessico; pertanto, parole come “libertà”,”democrazia”,”rivoluzione” e tante altre vennero eliminate dal vocabolario affinchè la popolazione non potesse comprendere e capire la propria condizione di subalternità.
Un’altra citazione di rilievo presente nel saggio di Carofiglio , riguarda uno studio dello storico e filologo Klemperer (ebreo figlio di un rabbino che nel 1912 si convertì al protestantesimo) sul linguaggio del Nazismo, dal titolo”La lingua del terzo Reich”. In quest’opera è dimostrato che la lingua del potere è pervasiva nel senso che, attraverso frasi fatte e ripetizione di parole in modo ossessivo, essa si insinua “nella carne e nel sangue del popolo” (Riscattare la patria, insistere sull’eroismo dei tedeschi e sul giudeo nemico).
Se Orwell nel suo romanzo distopico aveva creato un mondo “orribile” attraverso le parole, ma che esisteva solo nella realtà della scrittura, Klemperer, invece, attua uno studio filologico e attento della lingua del terzo Reich, utilizzata come lingua del regime, perché fondata su un unico modello di pensiero e basata su un vocabolario minimo.
Di contro, una società democratica si basa sul numero di parole conosciute e usate, difatti il giurista Gustavo Zagrebelsky nel suo saggio “ Imparare la democrazia” dice: “Il numero delle parole conosciute è direttamente proporzionale al grado di sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica e, con essa, la vita democratica”2. E anche l’etica democratica include la fede in qualcosa “la cura delle personalità individuali, lo spirito del dialogo, il senso di uguaglianza, l’apertura verso la diversità, la diffidenza verso le decisioni irrevocabili, l’atteggiamento sperimentale, la responsabilità dell’essere maggioranza e minoranza, l’atteggiamento altruistico.”3
Un aspetto importante del saggio riguarda soprattutto il significato che l’autore vuole attribuire a cinque parole chiave del nostro lessico, come vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta.
La parola “vergogna” si contrappone a decoro,dignità,onore.
Se nelle lingue classiche tale termine deriva da “verecondia”,e dal verbo vereor,che significa “rispettare”, in italiano, invece, il termine vergogna è legato al sentimento della violazione dinanzi a se stessi e dinanzi agli altri di una norma, di un principio etico.
Invece il termine “giustizia” si contrappone ad "ingiustizia e a parzialità", perché nel termine giustizia è anche insito per estensione il concetto di libertà; è in virtù della giustizia che si garantisce la libertà ai cittadini e le leggi non devono essere parziali, nel senso che non devono fare gli interessi di una parte, ma devono garantire tutti.
Infatti, come lo studioso John Rawls ha scritto, “La giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali,così come la verità è il primo requisito del pensiero”. Del termine “ribellione”, i suoi contrari sono repressione, obbedienza, rassegnazione e tirannia.
Ribellione significa “dire di no”, ma non in senso anarchico, cioè non volendo rispettare le leggi, ma con l’intenzione di contestare leggi ingiuste: “È un’arte difficile e perduta, quella di dire no. No alla brutalità della politica, no alla follia delle ingiustizie economiche che ci circondano, no all’invasione della burocrazia nella nostra vita quotidiana. No all’idea che si possano accettare come normali le guerre, la fame, la schiavitù infantile”.4
E quindi, quando la democrazia può essere attaccata e messa in pericolo, "ribellarsi è giusto ed è un gesto di responsabilità”5.
Per quanto riguarda il termine “Bellezza”, dal punto di vista semantico non concerne la sola categoria estetica ma anche quella morale, difatti la bellezza si contrappone alla bruttezza, all’orrore, alla grossolanità, alla sgradevolezza, alla sconcezza: “La bellezza senza dubbio, non fa le rivoluzioni. Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei”, come asserisce Camus in “L’uomo in rivolta”.
Se analizziamo invece la parola“Scelta”, essa comprende come suoi opposti i termini rinuncia ed indifferenza. Quest’ultima , così come Bob Dylan la definiva nella canzone Blowin’ in the wind, è “la più insopportabile dimostrazione di un’inumanità dell’uomo sull’uomo”e la risposta, per l’artista irlandese, “soffia nel vento”, cioè a dire che, di fronte alle ingiustizie sociali più insopportabili e alla corruzione più intollerabile, l’uomo non può voltare la testa e far finta di non vedere, ma la sua scelta responsabile è quella di denunciare e di reinventare un mondo più umano. Lo stesso messaggio che Antonio Gramsci pubblica nella sua rivista del 1917 "La città futura", nell'articolo dal titolo “Contro gli indifferenti” che giunge a noi come un grande manifesto politico e morale: “L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.”
Scegliere, invece, significa partecipare, prendere posizione, quindi non essere indifferenti. scegliere può significare tante cose e può essere anche connesso con il termine libertà.
Dobbiamo però,oltre a queste parole astratte che comunque sono fondamentali nella costruzione di un sistema di valori, fare riferimento al saggio di George Simenon che parla di" parole materia" cioè di parole che significano per tutti la stessa cosa.
Si costruiscono le frasi più semplici con parole concrete come “vento”, “caldo”, "freddo"; parole più tecniche che sono tipiche dei testi pragmatici e riportano informazioni necessarie all'utilizzo del destinatario, ma non per questo viene meno lo stile formalmente perfetto. La Costituzione italiana ad esempio è considerata dal punto di vista linguistico eccellente e anche letterariamente elegante, perchè è un testo che comprende un lessico di base, come sostiene il linguista Tullio De Mauro, chiaro ed esauriente sul piano concettuale.
In definitiva, quello che bisogna ribadire, per quanto riguarda l'importanza della nostra lingua italiana, è che la ricchezza della lingua corrisponde all'arricchimento dei concetti e delle opportunità culturali, e pertanto la semplificazione estrema del linguaggio e un uso povero delle parole crea le maggiori diseguaglianze ed emarginazioni sociali.

Giuseppina Bosco   

 


Note
1: G. Carofiglio, La manomissione delle parole, pg. 13
2: G. Zagrebelsky, Imparare la deocrazia, Torino, Einaudi, 2007
3: op. cit.
4: G. Carofiglio, op. cit, riferimento a Josè Saramago, pag. 98.
5: Cfr. J. P. Sartre, Ribellarsi è giusto! Editore Pgreco, 2012

 

 Nicola Lo Bianco - 11/07/2018 10:26:00 [ leggi altri commenti di Nicola Lo Bianco » ]

Molto interessante l’articolo di G.Bosco che ripercorre le riflessioni dello scrittore Carofiglio sulla lingua e sul linguaggio che è la prima e più immediata spia della contraffazione della realtà attraverso la contraffazione della lingua. Di questa contraffazione sottolinea l’autrice sempre si sono serviti a fini personali o di gruppo chi aveva interesse a "manomettere" la realtà, cioè,in definitiva, la coscienza dei popoli.Di questo, fa rilevare la Bosco, si sono avuti e si hanno evidenti esempi nei regimi totalitari o anche, come accade oggi, nei regimi falsamente democratici, che svuotano del senso proprio le parole chiave della vita associata o che anche riducono e corrompono il linguaggio togliendogli verità e chiarezza.
Fa bene la Bosco a citare alcuni testi dei grandi intellettuali che hanno detto qualcosa di fondamentale sulla "manomissione" della verità attraverso la deformazione del linguaggio: è un’indicazione di buone letture che possano far riflettere sul periodo che stiamo vivendo, dove le parole democrazia, libertà, giustizia, tanto strombazzate in ogni luogo di trasmissione e comunicazione sociale, non trovano nessuna corrispondenza con la vita del singolo e della collettività.
E’ un bell’articolo, tra l’altro, che si fa leggere con scioltezza e chiarezza. Nicola Lo Bianco

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